RACCONTI DA UN'ESPOSIZIONE: LA TEMPESTA

Pubblicato il 29 aprile 2025 alle ore 11:00

Presentiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori una nuova rubrica dal titolo "RACCONTI DA UN'ESPOSIZIONE", curata dalla nuova editor di Studio Limoni, Augusta de Cesari.  In questa nuova serie vi presentiamo dei racconti brevi, scritti prendendo ispirazione da alcune delle opere d'arte più famose e note, andando al di là del concetto di storia dell'arte per costruire un'arte di storie. 

 

Giorgione da Castelfranco, La tempesta, 1503-1504, olio su tela, Gallerie dell’Accademia, Venezia

 

Al di là della radura, spingendosi con lo sguardo in lontananza, sulle pendici di una collina si estende un borgo diroccato che si affaccia su una vallata tutta verde, dalle sfumature di smeraldo. Un fiumiciattolo taglia a metà il cuore della cittadella: sembrerebbe così dolce e ameno, se solo non si ingrossasse per i continui temporali che si abbattono da numerosi giorni su tutta la zona!

La piccola città tace sotto una pioggia instancabile, come se il cielo avesse dimenticato come si fa a smettere di piangere. Le case paiono sospese nel tempo, i tetti sono gocciolanti, le strade immerse in un’eterna sferzata d’acqua, il vento, languido e stanco, sussurra solo ai rami degli alberi. Ormai nessuno ricorda più il volto del sole e dei pomeriggi azzurri sulle distese verdeggianti della valle. Ora nel letto del fiume si riflettono solo nuvole cariche di tempesta.

Tra quelle rovine lente e liquide, si affaccia dalla finestra un giovane pastore, con le pecore ridotte a ombre tra le nebbie. Si ricorda dei giorni in cui un frammento di luce, come eco di un’estate mai vissuta, scaldava il cuore della terra e tutto diventava ancor più verde.

Le pecore dormono beate nell’ovile, cullate dallo scrosciare della pioggia sulle tegole del tetto e il pastorello si lascia andare ai pensieri contando le gocce d’acqua davanti ai suoi occhi. Il grigiore del cielo comincia a farsi più denso e senza aver bisogno di vedere il sole calante all’orizzonte, si capisce che la notte sta arrivando. Un’altra notte da trascorrere con la ninna nanna del temporale.

Il mattino seguente, al risveglio, il giovane pastore decide di uscire e perdersi in mezzo alla pioggia, seguendo il mormorio del fiume gonfio finché non vede qualcosa che spezza la monotonia del grigiore diffuso. Poco dopo l’ultimo ponte del villaggio, già fuori dalle mura, c’è una donna, seduta sull’erba fradicia, col capo scoperto e lo sguardo calmo. Tra le braccia tiene un bimbo che dorme sereno, con il visino teneramente appoggiato al seno materno.

La donna alza lo sguardo e sorride delicatamente al nuovo arrivato innanzi a lei, il pastore, che la fissa dall’altra sponda del torrente. Il giovane pare un po’ arrossire e, dopo aver levato lo sguardo al cielo che dal monotono grigiore si sta trasformando in una sfumatura cerulea con toni di verde, - quasi che cielo e terra si stessero mischiando in un tutt’uno -, si rivolge tutto sollecito alla donna:

«Non potete starvene qua fuori sotto questo tempaccio! Rischiate di buscarvi un accidente, signora, lo dico per voi e per il bimbo.»

La madre appoggia il suo seno sulle labbra del piccolo, mentre lo culla, come se non si stesse minimamente curando delle parole preoccupate del giovane. Forse non parla la sua lingua, è una forestiera che viene da chissà dove, pensa il ragazzo che insiste:

«Mi avete capito? Parlate almeno la mia lingua? Qui. Non. Potete. Stare! Vi. Piglierete. Un. Malanno.»

Scandisce le parole sperando di farsi capire dalla donna, ma quella rimane serafica e impassibile ad allattare il suo piccolo. Il pastore allora sospira rassegnato, il suo l’ha fatto e se lei preferisce starsene sotto l’imminente nuovo acquazzone, non sarà un problema suo. Fa per girarsi e tornare sui suoi passi, ma la donna alza il capo verso di lui, mentre il bimbo lo guarda con occhietti curiosi.

«Non devi temere, giovane, non piove.»

Allora parla la sua lingua, ma deve essere un po’ pazza. Pioverà eccome, forse più degli altri giorni perché ci sono pure saette che squarciano i nuvoloni densi all’orizzonte. La guarda stranito e anche un po’ intimorito, ma a un certo punto…il suo sguardo incrocia quello del bimbo. Nei suoi occhi piccoli danzano immagini che nessuno potrebbe spiegare: cieli aperti, fiori mai sbocciati, campi ridenti al sole. E poi, accade l’impensabile.

La tempesta mugola, mormora e ruggisce, l’aria si stringe… e il bambino ride. Si ode un suono limpido, puro, che taglia il tuono come una lama di cristallo. Il cielo si ferma. Una goccia esita, poi un’altra. Le nuvole cominciano a sfilacciarsi, e la luce del sole, pallida e nuova, si posa sulla terra come un bacio.

La tempesta è finita e il pastore rimane lì, incantato, a fissare le nuvole che scappano via, mentre il sole riprende il suo posto alto nel cielo. Chissà quanto tempo è rimasto immobile con lo sguardo rivolto all’orizzonte, perché si accorge che la donna misteriosa con il suo piccolo si è già dileguata.

 

Al loro posto è rimasto un cielo più azzurro che mai, come nessuno aveva mai visto.

 

Augusta De Cesari

 

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