LA CASA DI BAMBOLA DI RACHEL HOBKIRK

Pubblicato il 5 ottobre 2023 alle ore 11:00

Il giorno 13 Settembre 2023 ha inaugurato la mostra "Baby Talk" di Rachel Hobkirk, presso lo spazio espositivo di L.U.P.O Gallery; nel contesto della mostra l'artista Hobkirk guida il suo pubblico in un allestimento dal sapore inquietante, ma che allo stesso tempo porta gli occhi a non distogliere lo sguardo. La morbosità voyeuristica è una componente fondamentale per capire la poetica messa in mostra dall'artista.

 

Exhibition view, Bbay Talk, Rachel Hobkirk. 

© LUPO - Lorenzelli Projects. Ph. Pietro Cisani

 

Eri molto carino con me: ma la nostra casa non è stata altro che un luogo di ricreazione. La mia vita! Con mio padre, una bambola-figlia; con te, una bambola-moglie. E i nostri figli, le mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me, come loro si divertono quando giocano con me. Ecco cos'è stata la nostra unione, Torvald

(Nora da Henrik Ibsen, Casa di Bambola, titolo originale: Et Dukkehjem, 1879, traduzione di Lucio Chiavarelli, Newton Compton Editore, Roma, 1972, atto III, pag. 87)

 

Ogni volta che si parla di bambole nel contesto della situazione femminile, non è possibile non riuscire a pensare allo spettacolo teatrale di Henrik Ibsen dal titolo Casa di bambola, la cui tematica centrale dell’azione ruota tutta attorno alla condizione alienata della protagonista femminile, Nora, la quale nel corso dell’opera si rende conto della propria infelicità e inferiorità nel contesto famigliare in cui non ha più un ruolo.

Nora ha perso la sua identità, o per meglio dire quella che credeva tale, perché vive la lontananza morale, emotiva e fisica del marito, dei figli, non ha più il suo lavoro di madre e di donna di casa, l’ultima cosa che le rimaneva. Alla fine del terzo atto, Nora vive una profonda trasformazione e fa esperienza di un’epifania che la sprona ad accettare la realtà della sua condizione e capisce, con uno scambio di battute con il marito Helmer, che la sua passività e accondiscendenza nei confronti del maschio ha radici ben più profonde, risalendo addirittura al rapporto con il padre.

 

Rachel Hobkirk, Origin of the Female Painter, 2023, oil on linen, 120x100 cm

© LUPO - Lorenzelli Projects. Ph. Pietro Cisani

 

“Quando stavo con mio padre, egli mi esponeva le sue idee, e io le condividevo. Se pensavo diversamente, non me ne facevo accorgere. La cosa lo avrebbe contrariato. Mi chiamava la sia piccola bambolina, e giocava con me, come io giocavo con le mie bambole. Poi sono entrata in casa tua...”

(Henrik Ibsen, Casa di Bambola, titolo originale: Et Dukkehjem, 1879, traduzione di Lucio Chiavarelli, Newton Compton Editore, Roma, 1972, atto III, pag. 87).

 

La protagonista di Ibsen realizza, così, di non essere mai stata Nora, tantomeno una donna, ma una bambola. L’estraniamento e il vuoto della donna diventano un topos centrale anche nel saggio di Betty Friedan “La mistica della Femminilità”, dove l’autrice espone la condizione della casalinga nel tempo del boom economico negli Stati Uniti del secondo dopo guerra, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, prima che si radicalizzi la coscienza femminista.

La Friedan descrive il suo stupore di fronte alla generazione di giovani donne, figlie di tutte coloro che hanno lottato per garantire l’ammissione al college per le donne e la conseguente possibilità di fare carriera nel mondo del lavoro, fuori dal ruolo di “angelo del focolare”. L’autrice del saggio è testimone di una forte retrocessione sociale da parte di queste giovani donne che vivono la propria vita in funzione della famiglia e del matrimonio, per poi realizzare la loro insoddisfazione come individui.

 

“Non ha una personalità se non come moglie e madre. Non sa cosa è all’infuori di questi suoi ruoli.”

(Betty Friedan, La mistica della femminilità, titolo originale: The Feminine Mystique, 1963, traduzione di Loretta Valtz Mannucci, Edizioni di Comunità, Milano, 1964, pp. 24)

 

Rachel Hobkirk, Mask, 2023, oil on linen, 123x103 cm

© LUPO - Lorenzelli Projects. Ph. Pietro Cisani

 

Betty Friedan raccoglie le testimonianze di queste donne insoddisfatte e incomplete, provenienti da

ogni tipo di estrazione sociale e culturale.

 

“O Dio mio, cosa faccio del mio tempo? Beh, mi alzo alle sei. Vesto mio figlio e gli do la colazione. Dopodiché lavo i piatti e faccio il bagno al più piccolo e gli do da mangiare. Poi preparo il pasto di mezzogiorno e, mentre i bambini dormono, cucio o rammendo o stiro e faccio tutte le altre cose che non sono riuscita a fare prima. Poi cucino la cena per la famiglia e mio marito guarda la televisione mentre io lavo i piatti. Dopo aver messo a letto i bambini mi metto i bigodini e ci vado anch’io.”

(Betty Friedan, La mistica della femminilità, titolo originale: The Feminine Mystique, 1963, traduzione di Loretta Valtz Mannucci, Edizioni di Comunità, Milano, 1964, pp. 22)

 

“Il problema è d’essere sempre la “mammina” e la moglie del Pastore e di non essere mai me stessa.”

(Betty Friedan, La mistica della femminilità, titolo originale: The Feminine Mystique, 1963, traduzione di Loretta Valtz Mannucci, Edizioni di Comunità, Milano, 1964, pp. 22)

Sia il saggio di Betty Friedan che la pièce teatrale di Ibsen sono da considerarsi delle pietre miliari nel completamento dell’autocoscienza femminile, seppur siano solo due gocce nel grande oceano. Tuttavia, sono tematiche e aspetti sociali che non si sono esauriti nell’era contemporanea, bensì sono topics ancora completamente attuali, come viene mostrato nella mostra Baby Talk di Rachel Hobkirk presso l’istituzione della L.U.P.O Gallery, nel centro di Milano a pochi passi dai bastioni di Porta Venezia.

 

Rachel Hobkirk, My Fragile Sweetheart, 2023, oil on linen, 200x170 cm

© LUPO - Lorenzelli Projects. Ph. Pietro Cisani

 

La superficie così lucida e patinata delle opere esposte in mostra suggerisce il malessere della società contemporanea, secondo l’espressione artistica di Rachel Hobkirk. Tale sentimento di mal de vivre e di estraniamento all’interno del tessuto urbano viene travestito con la patina d’illusione della bellezza superficiale, del consumo sfrenato e del desiderio di accumulare per riempire il vuoto interiore.

La cuteness, che viene citata anche nel comunicato stampa di L.U.P.O Gallery, è la maschera che invoglia il desiderio del consumo: è la distrazione che garantisce una soddisfazione rapida e superficiale, per farci distogliere lo sguardo dalla realtà che si consuma e collassa su se stessa, in un processo di decadimento irreversibile.

Un’altra riflessione di critica sociale che viene veicolata da Hobkirk nei suoi quadri riguarda l’appagamento dello sguardo maschile nei confronti del genere del soggetto femminile, un soggetto mancante e manchevole, tanto per citare il padre della psicanalisi moderna, Sigmund Freud, che considera la donna come un non-uomo.

Le bambole di Hobkirk sono una gigantografia della sessualizzazione deviata del corpo, quasi al limite della pederastia: i dettagli degli occhi lucidi e delle boccucce che ricordano ani vengono rappresentati da Hobkirk cercando di invitare il pubblico ad adottare uno sguardo più conscio e critico, che vada al di là della superficie di cuteness e innocenza feticizzata.

 

S. F. C.

 

Rachel Hobkirk

Baby Talk

L.U.P.O Gallery, Corso Buenos Aires 2, Milano

13 Settembre - 22 Ottobre 2023

 

PHOTO GALLERY

Rachel Hobkirk, Tongue, 2023, oil on linen, 150x120 cm

© LUPO - Lorenzelli Projects. Ph. Pietro Cisani

 

Exhibition view, Bbay Talk, Rachel Hobkirk

© LUPO - Lorenzelli Projects. Ph. Pietro Cisani

 

Rachel Hobkirk, Crying, 2023, oil on linen, 40x30 cm

© LUPO - Lorenzelli Projects. Ph. Pietro Cisani

 

Rachel Hobkirk, Mouthing Words of Regret, 2023, oil on linen, 40x30 cm

© LUPO - Lorenzelli Projects. Ph. Pietro Cisani

 

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