IMMAGINI DAL SOTTOSUOLO: ELIA DI NOLA

Pubblicato il 14 luglio 2023 alle ore 11:00

Presentiamo una rubrica indipendente con l'obiettivo di dare spazio a giovani artisti e artiste della scena contemporanea fuori dagli spazi della storicizzazione. Il riferimento al romanzo di Dostoevskij serve a riportare alla luce la coscienza dell'esistenza di un mondo underground, fatto di mormorii e percezioni che passano in sordina nel contesto mainstream della società e anche nel panorama artistico.

 

Oggi vi presentiamo la poetica di un altro giovane artista, Elia di Nola. Vive e lavora tra Milano e la provincia di Varese, attualmente iscritto all'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano nel dipartimento di Scultura; lo incontriamo poco fuori dell'Accademia e mentre beviamo insieme un caffè, lasciamo che si racconti a noi, aprendosi e svelandosi.

 

Elia, benvenuto! Tu sei un giovane scultore, iscritto appena al primo anno dell’Accademia di Brera. Tuttavia, vedendo i tuoi lavori c’è già una forte carica personale.

È il primo anno che sono a Brera, ma ho iniziato ad avvicinarmi alla scultura già dalla terza superiore. Poi, più o meno dall’anno dopo, ho continuato comunque le esercitazioni scolastiche come le copie d’artista, studi dei grandi maestri, per concentrami approfonditamente sul mio linguaggio personale in modo più introspettivo.

 

Quindi hai voluto non tanto seguire un percorso puramente scolastico, limitato alla padronanza delle tecniche, quanto farne un’esperienza di crescita?

Esattamente. La cosa mi ha creato non pochi problemi a livello scolastico, perché non riuscivo a trovare un equilibrio tra le due cose. Il compromesso è stato faticoso da trovare, perché è il limite dello schema della scuola in generale.

 

Elia Di Nola, Pressione, 2023, cera patinata con colori a olio

Courtesy Elia Di Nola

 

Anche in accademia, hai avuto  modo di trovarti in un sistema obsoleto per quanto concerne la didattica e la forma mentis dell’ambiente?

Sì, si parla troppo di come fare gli artisti, ma si lavora troppo poco. Il problema è proprio questo, ovvero il disquisire sui massimi sistemi senza avere la possibilità di far lavorare le mani oltre al cervello. Io ho la fortuna di poter avere uno studio, un mio spazio dove riesco a partorire le mie creazioni e il mio linguaggio, a pascerlo e a crescerlo; tuttavia, soprattutto per chi studia scultura, se manca lo spazio, manca l’ingrediente principale.

 

Sei un po’ anarchico, artisticamente e concettualmente parlando.

Sì, assolutamente.

 

Nella poetica che sei riuscito a sviluppare negli ultimi anni, in accademia e personalmente, cosa c’è di veramente tuo?

Credo tutto. La mia persona è rinchiusa all’interno dell’opera, anche se non succede sempre, perché cerco di dare forma a un tema più specifico. Però, in senso più lato, cerco di proiettare il più possibile la mia psicologia, la mia vita e i contatti che ho avuto, cerco di ricondurmi a diverse influenze che ho inglobato in modo osmotico nel mio linguaggio. Non so ancora cosa faccio in scultura, sto imparando e capendomi piano piano, ma so che lo faccio per un’esigenza che nasce da un istinto puro.

 

Nel tuo futuro d’artista, vorresti trovare una risposta a questa domanda?

Più che altro vorrei trovare le parole giuste per rispondere quando mi viene chiesto da qualcun altro al di fuori di me. Io sono della scuola di pensiero che è l’opera in sé la voce narrante senza il mio intervento, di mio non vorrei dire niente.

È una scuola di pensiero che condividiamo anche noi. Nella nostra opinione, l’autonarrazione dell’artista è un atto onanistico che svilisce l’essenza e l’esistenza dell’opera d’arte. Quando c’è il bisogno di esplicitare una giustificazione, significa che qualcosa non va.

Sì, lo penso anche io, l’opera cade. È come un castello di carte che crolla anche senza il minimo soffio di vento.

 

Quando lavori in studio, qual è il tuo rito?

Arrivo in studio, accendo una sigaretta, a volte chiedo alla mia fidanzata di posare per me come modella. Ma non ho una scaletta precisa, mi lascio molto ispirare dal momento: a volte prendo l’argilla e inizio a modellarla senza uno schema, solo gesto che plasma la materia. In altre situazioni, mi faccio guidare da disegni e schizzi: quando li osservo con il senno di poi, realizzo che alcune immagini possono assumere una forma diversa da quella bidimensionale e cerco di farle uscire.

 

Elia Di Nola, Busto maschile I, 2022, terracotta patinata a olio

Elia Di Nola, Busto maschile II, 2023, terracotta patinata a olio

Courtesy Elia Di Nola

 

Il tuo essere anarchico si riflette anche nel non seguire l’idea canonica della scultura, come partire da uno schizzo, studiarne le proporzioni e solo poi intervenire sulla materia. Nel tuo caso, cerchi di sentire il cuore pulsante del medium e lasciare che quest’ultimo ti parli?

Sì, sia la materia che il mio mondo interiore. Cerco di ascoltare il più possibile questi elementi che fanno parte di me; poi a volte ritorno sul pezzo per ragioni di pura stabilità nello spazio, apporto poche modifiche sul piano estetico. Ci deve essere armonia, anche se le mie sculture sembrano uscire dalla dimensione del grottesco. La materia non parla, è una massa anonima e silenziosa che di per sé non comunica nulla: la scultura è il mio modo per racchiudere un grido di vita in un corpo inanimato. È un modo per rendere eterno quel pezzo.

 

In diverse mitologie, ritorna l’archetipo del divino che crea l’uomo partendo dalla terra, come se fosse una statuetta, e l’essenza divina trasmette la vita soffiando dentro questa statua, l’afflato che rende viva la materia. Però tu non parli di soffio, ma di grido. Ma di cosa precisamente, paura, rabbia, frustrazione, gioia, follia?

Tutto. Dipende dal lavoro, può essere un grido di rassegnazione, dopo la presa di coscienza dalla caducità dell’esistenza senza senso. È anche un grido dettato dalla solitudine, dall’incomprensione, dal sentirsi completamente soli in mezzo alla massa della società che ti vuole sempre presente, performante e attivo al massimo delle forze, senza fare il minimo errore. L’arte è il mio spazio libero.

 

Tu lavori molto con la cera, come mai? Ti affascina il fatto che sia un materiale molto malleabile, ma anche fragile?

Ho appena iniziato a lavorare con questo materiale, ma credo che continuerò per molto tempo perché appunto mi rispecchia molto. Uno dei punti che più mi preme è il fatto che non siamo eterni, dal momento in cui veniamo al mondo scatta il conto alla rovescia: è un aspetto della vita che mi angoscia, da cui derivano tante altre cose che ho cercato di riflettere all’interno del mio lavoro. Quando lavoro con la cera, a volte, la mischio con dei pigmenti per richiamare il colore dell’incarnato della pelle per sottolineare l’idea del corpo caduco.

 

C’è molta inquietudine, quindi. Anche nel modo in cui plasmi la materia: ci sono irregolarità, la texture non è liscia e compatta. Questo transfert di angoscia interiore che hai si vede molto in questo elemento.

La scultura è la mia terapia, quando sono in studio entro nel mio spazio zen. Quando esco dalla porta dello studio, le mie ansie mi riagguantano. Man mano che vado avanti con la mia vita, come Elia persona ed Elia artista, mi accorgo che si accumulano domande, anziché risposte e questo mi turba, non ho certezze. Ciò che voglio fare con il mio lavoro è dare un briciolo di empatia con l’osservatore, come per dire “Non sei solo.”

 

S. F. C.

 

Elia Di Nola, Ritratto a Rachele, 2023, grafite e pastelli

Elia Di Nola, Autoritratto, 2023, grafite e pastelli

Courtesy Elia Di Nola

 

 Elia Di Nola, 90 (bassorilievo di donna accovacciata), 2022, Bassorilievo in gesso patinato con pigmenti
Courtesy Elia Di Nola

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