Ripresentiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori una nuova forma della rubrica iniziata l'anno scorso intitolata "RACCONTI DA UN'ESPOSIZIONE", a cura della editor di Studio Limoni, Augusta de Cesari. In questa serie vi presentiamo dei racconti brevi, scritti prendendo ispirazione da alcune delle opere d'arte più famose e note, andando al di là del concetto di storia dell'arte per costruire un'arte di storie.
John Singer Sargent, Portrait of Madame X (Madame Pierre Gautreau), 1884, oil on canvas, MoMA - Metropolitan Museum of Art, Manhattan, New York
Courtesy Wikimedia Common
Eccola, una sfinge di bellezza eterea che non sembra appartenere a questo mondo. Ogni volta che la vedo camminare per i giardini degli Champs Élysées con le sue amiche, madame La Croix e mademoiselle Beauchêne, il tempo si ferma e tutto intorno sparisce, un senso di vertigine mi prende e mi stringe.
Mi passa accanto e la mia lingua non riesce a pronunciare alcun suono
-Buongiorno, monsieur! Che piacere vedere anche voi qui.-
Non riesco a rispondere, maledetta sia la sua voce flautata che mi annichilisce. Anzi no, continua a parlare, dolce creatura, inebriami con le parole che solo tu riesci a pronunciare in un modo così sensuale, eppure al contempo così pudico. Mi sembra di essere un bambino che è appena stato rimproverato dalla madre, che lo ha sorpreso a rubare i cioccolatini al rum; i miei occhi non si alzano dalla strada ciottolata.
Mugugno qualche verso, lontano dall'essere parola: -Buongiorno a voi, madame Gautreau. Anche per me è un piacere vedervi oggi.-
Sento quelle oche di La Croix e Beauchêne che sghignazzano come comari della strada, forse con una punta di malizia e invidia. In fondo posso capirle, al confronto della ninfa loro sembrano delle saggine sgraziate e un poco pulciose. A Parigi si dice che madame Gautreau abbia la pelle più bella e liscia di tutta la città, senza curarsi con impacchi ricercati che vengono direttamente dall'Oriente più lontano.
Nei salotti, appena entra lei, sui volti goffi di signore e signorine si stende un velo di verde invidia: quanti denari che spendono per le creme al fior di loto della Manciuria e per gli oli del cedro del Bengala, eppure ogni giorno diventano sempre più brutte e ripugnanti. Chissà i loro mariti quanto piangono a vedersi ogni giorno più impoveriti di prima e pure sposati con delle streghe!
Lei no, è nata così angelica e non ha bisogno di consumarsi a cercare nevroticamente il siero dell'eterna giovinezza.
-Monsieur, spero di non apparirvi troppo sfacciata, ma mio marito e io non abbiamo ricevuto risposta da parte vostra per il ricevimento di stasera. Sarei lieta di vedervi!-
L'invito! Maledizione, me l'ha fatto ritornare alla memoria.
-Certo, madame, mi scuso della mia svista. Me ne sono completamente scordato, ma vi confermo che stasera sarò lì. Ora vi chiedo perdono, ma devo congedarmi. Buona giornata, signore.-
Me ne vado con le gote purpuree dalla vergogna, accelerando il passo come un soldato che marcia senza sapere dove sta andando. Mi sento anche in imbarazzo di averle mentito in una maniera così irriverente e sfacciata, perché in realtà non mi sono dimenticato affatto dell'invito per il party della serata e ricordo assai vividamente come mi sono sentito a prendere tra le mani la busta.
Era di un tenue color lavanda, una carta profumata con incisa una calligrafia elegante e sottile come capelli d'angelo. "Con la presente, i coniugi Gautreau sono lieti di invitarVi al party con cena di mezza estate presso la loro dimora in Boulevard Raspail. Si prega di confermare."
Senza dubbio la scrittura era la sua. Dio! Le sue dita, le sue mani hanno toccato quella carta e ora è mia, la posso toccare. Così si sente un satiro alla fine di un baccanale, inebriato ed eccitato, con il fuoco dell'estasi orgiastica che gli brucia fin nei lombi? Perché io mi sento esattamente in questo modo, solo a toccare la carta dell'invito. Ho cercato di evitare fino all'ultimo di rispondere, l'immagine del suo volto è un demonio che invade i miei sogni, trasformandoli in incubi; la tentazione di confermare l'invito è stata forte fino all'ultimo, ma come sarei potuto sopravvivere? Non posso rimanere sano a sapere che io e lei siamo nella stessa stanza, respiriamo la stessa aria, eppure siamo così lontani: mai potrò posare le mie labbra sulle sue, rosse come il vino nel calice di Dioniso.
Ormai ho dato la mia parola, non esiste peccato più mortale del pronunciar menzogna davanti a un angelo, un messaggero di Dio. In uno stato di trance, esco di casa e mi dirigo verso Boulevard Raspail; mi sembra di volare, non sento la strada che batte sotto i miei piedi e in un batter di ciglio mi ritrovo davanti alla maestosa dimora della coppia più in vista della città.
Vengo accolto da un cameriere che mi lascia entrare e subito madame Gautreau si fa strada tra gli invitati arrivati in anticipo e fa gli onori di casa da brava padrona che ha studiato bene le regole del galateo. -Monsieur, finalmente siete qui! Allora avete mantenuto la parola, ero quasi certa che non voleste vedermi.-
Angelo e strega! Come è riuscita a leggere i miei pensieri? Spero non sia andata oltre, perché avrebbe visto il lato più peccaminoso dei miei desideri. Mi tende la mano candida su cui pongo di sfuggita le mie labbra: un solo istante di più e svengo.
Saluto qualche ospite che conosco anche solo di vista e mi dirigo verso il fondo della stanza, dove mi appoggio al muro con gli occhi fissi sul centro della sala del ricevimento. Non mi accorgo di stare sudando freddo, ma sento qualche voce che mi domanda: -Oh, monsieur! Siete sicuro di stare bene? Andate a prendere un po' d'aria!-
-Amico mio, bevete del buon vino, che siete pallido come un cencio!-
Sono malato, sì, e il mio male più grande è lei. Lei, avvolta in uno scuro abito di velluto che fa risaltare ancora di più il candore della sua pelle di luna, il tessuto è liscio, quasi liquido, scivola lungo il corpo come un fiume oscuro, lambendo la figura in un abbraccio inesorabile. Non vi è ornamento, non vi è frivolezza, solo la pura essenza del nero, un nero profondo e denso come un abisso segreto, dove la luce si perde e lascia spazio a una bellezza tagliente, irrimediabilmente; all'apparenza è un abito semplice, di una qualsiasi boutique tanto chiacchierata dalle signore e signorine della borghesia annoiata di Parigi.
Ma il dettaglio più scandaloso è la vertiginosa scollatura a cuore che le copre il seno, quel taglio nel vestito è una spaccatura audace che si apre come un respiro trattenuto, rivelando la curva elegante delle spalle, come ali di marmo pronte a dispiegarsi. Due timide cinghie d'oro sulle spalle sostengono il vestito e quelle stesse cinghiette sono la porta per il paradiso, confine tra controllo e desiderio: basta che scivolino poco più giù che l'abito diventa solo un ricordo e tutto ciò che resta è la mia baccante pronta a rendere la notte un'esperienza di sensazioni mai provate prima.
Quel vestito è una poesia di ombre, un canto sommesso di eleganza e controllo. Parla senza parole, incarna l'arte della seduzione sottile, quel confine sottilissimo tra ciò che si mostra e ciò che resta nascosto, come una stella lontana intravista tra le pieghe della notte. Invidio quell'abito, quanto vorrei avvolgermi attorno alle sue grazie così!
La vedo circondata dalle anziane mondaines e sorrido a notare il suo sguardo annoiato, quand'ecco che una goccia di vino corre dal suo mento fino a dentro la scollatura. Dio, perché mi fai questo? Perché metti continuamente alla prova la mia resistenza?
Non ce la faccio più, non posso andare oltre con la sopportazione. Devo andarmene da qui.
Mi avvio verso il corridoio per uscire da questa Babilonia che lei se ne accorge e mi segue. -Monsieur! La prego, aspetti!- grida -Perché se ne va così presto? La festa è appena iniziata e la cena non è stata ancora servita.-
-Sono desolato, madame, ma non posso restare ancora. Voi non potere capire e mai potrete perché non ho le parole per spiegarvi.-
Lei si appoggia alla consolle in mogano dell'ingresso, con il suo profilo affilato si volta verso il cameriere e gli ordina:-Benjamin, per favore, vai anche tu a servire lo champagne agli invitati. Il signore e io dobbiamo parlare.- ora si rigira verso di me -Prego, provate a spiegarmi perché ultimamente siete così sfuggevole e alterato, sembrate in un costante stato di inquietudine.-
Ora non riesco più a dire nulla, la mia lingua si è sciolta come colla arabica al sole e mi ha sigillato la bocca. Ormai è una causa persa, mai potrò dirle che la amo e la bramo come se fosse la mia stessa vita. Mai potrò confessarle che desidero toccarla come Zeus toccò Alcmena nel piacere più totale e divino.
Lei sembra comprendere la mia angoscia e mi lascia andare.
La vedo ancora lì, all'ingresso che mi segue con gli occhi mentre mi lascio inghiottire dal buio della strada.
Augusta De Cesari
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